A tu per tu: l’AiFOS e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - Explora - Il museo dei bambini di Roma
Skip to content

A tu per tu: l’AiFOS e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

Leggi l’intervista a Camilla Abeni 

“Gli stereotipi e le condizioni di diseguaglianza sono purtroppo ancora massicciamente presenti;
l’unico strumento che abbiamo a disposizione per combatterli è la cultura, attraverso messaggi
ed opere di sensibilizzazione, che non dobbiamo mai smettere di attuare in concreto.”

Camilla Abeni

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, approvata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 2015, mira al raggiungimento di 17 Obiettivi (SDGs) in un piano d’azione per Paesi, Enti e Istituzioni chiamati a collaborare e sviluppare programmi idonei per porre fine alla povertà, lottare contro le discriminazioni, agire contro i cambiamenti climatici e costruire società nel rispetto degli essere umani e del nostro Pianeta.
Il raggiungimento degli Obiettivi non può prescindere da una riflessione sul tema della disabilità: se da un lato sono stati fatti importanti passi avanti per garantire alle persone con disabilità di vivere in società più inclusive, dall’altro, esistono delle limitazioni.
Nell’ambito del progetto Per tutti ci siamo domandati quanto ancora bisogna lavorare per garantire l’equità e il principio della parità nel raggiungimento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile.

Per rispondere a questo quesito abbiamo intervistato la Dott.ssa Camilla Abeni dell’ AiFOS, Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro, un’associazione senza fini di lucro, membro ASviS, costituita da professioniste e professionisti che operano nel campo della formazione e della sicurezza sul lavoro.

Questa l’intervista:

Parlando delle difficoltà nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ritiene che alcune problematiche siano legate a fattori culturali quali, per esempio, la mancata informazione rispetto alle disabilità, le informazioni distorte o stereotipate, la mancanza di progetti di sensibilizzazione?

Secondo i dati Istat, circa il 5% della popolazione italiana è in condizione di disabilità, mentre dai dati OMS, il 15% della popolazione mondiale – pari a circa un miliardo di persone – sarebbe coinvolto da una forma di disabilità.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007. Essa costituisce un momento storico fondamentale nell’affermazione dei diritti delle persone con disabilità, in quanto focalizza il concetto di disabilità sull’interazione tra l’essere umano disabile e l’ambiente che lo circonda, rispetto a ciò che è considerata la normalità: “Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”.
Con tale approccio, le Nazioni Unite spingono ogni Stato ad attuare accorgimenti volti ad assicurare pari dignità e il pieno godimento dei diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità.

In Italia come vanno le cose? Ci soffermiamo brevemente su un aspetto tanto caro alla nostra associazione, che riguarda la tematica del reinserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro.

I datori di lavoro, ai sensi dell’articolo 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216/2003 sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità.

Il lavoratore che abbia subito un infortunio o sia stato vittima di una malattia professionale avrà quindi il diritto di essere reinserito nel contesto lavorativo, attraverso un iter chiaro e ben tracciato, nell’ambito del quale la prestazione economica, la cura, l’eventuale protesizzazione, la riabilitazione, il reinserimento nella vita sociale e lavorativa ne costituiscono i passaggi fondamentali.

Ovviamente, una buona legge rappresenta uno strumento basilare per ridurre le disuguaglianze in tema di disabilità, ma questo non è sufficiente per garantire una efficace applicazione delle misure a sostegno del reinserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro.
Gli stereotipi e le condizioni di diseguaglianza sono purtroppo ancora massicciamente presenti; l’unico strumento che abbiamo a disposizione per combatterli è la cultura, attraverso messaggi ed opere di sensibilizzazione, che non dobbiamo mai smettere di attuare in concreto.

A seguito della pandemia globale, ritiene che alcune misure adottate – per esempio il forte sviluppo di prodotti digitali – siano di supporto per il raggiungimento di tali obiettivi?

Con l’avvento della pandemia di Covid-19 siamo stati costretti ad un cambio di passo generalizzato, che ha coinvolto ognuno di noi; le economie mondiali, le società, i governi si sono trovati faccia a faccia – loro malgrado – ad un evento imprevisto che, giocoforza, ci ha spinti a porre in atto scelte e cambiamenti che potremmo definire epocali, soprattutto in ambito lavorativo.
Con la nascita di nuovi bisogni lavorativi, le aziende hanno avuto l’importante compito di dover pensare a come introdurre nuove soluzioni e nuovi processi, necessari per gestire i cambiamenti che abbiamo osservato e di cui siamo stati parte attiva negli ultimi anni.
L’introduzione dello smartworking, della gestione del lavoro da remoto e degli appuntamenti attraverso le videocall, la formazione aziendale in videoconferenza hanno spinto il mondo del lavoro verso una forte e veloce digitalizzazione.
Questo ha portato con sé, fisiologicamente, anche nuovi rischi legati all’attività lavorativa: la valutazione dei rischi aziendali, quindi, oltre ai rischi tradizionali ha dovuto sempre più tenere in considerazione ulteriori nuovi rischi, correlati alle nuove mansioni, sempre più digitalizzate,
come, ad esempio tutti i rischi psicosociali derivanti dal lavoro in remoto, tra cui il tecnostress.
La trasformazione digitale del lavoro, seppur forzata nel periodo Covid, ha accresciuto in noi la consapevolezza che si possa tendere ad un miglioramento in tema di benessere organizzativo, di conciliazione vita-lavoro, di miglioramento delle condizioni ambientali e quindi di una migliore circolarità dell’economia.
Ricordiamo che circa il 30% delle risorse totali del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono dedicate alla transizione digitale (Dati AGID, Agenzia per l’Italia Digitale).
Attenzione però a non voler perdere di vista il cardine del “sistema lavoro”, ossia l’essere umano, il lavoratore o la lavoratrice, che dovrà, a parer nostro, rimanere il protagonista. La persona deve rimanere il centro del tessuto sociale e lavorativo; dovremo quindi lavorare per evitare che le macchine sostituiscano in toto l’essere umano.

Le istituzioni dovranno inoltre adottare misure per evitare che la transizione digitale porti forti squilibri territoriali, generazionali e culturali.
La transizione digitale è quindi certamente un importante propulsore delle tematiche legate alla sostenibilità, ma occorre usare la responsabilità, personale, sociale ed istituzionale.
Dovremo essere in grado quindi di accogliere i cambiamenti, comprenderne i vantaggi e le opportunità, non dimenticandoci però i principi dell’etica sociale, economica, lavorativa ed ambientale che stanno alla base dell’Agenda 2030.

Quali potrebbero essere delle azioni concrete per sostenere le persone con disabilità a raggiungere gli obiettivi? Esiste un progetto dell’ASviS?

Quello della gestione della diversità in azienda è un tema molto dibattuto negli ultimi anni. Certamente l’investimento nello sviluppo di coscienze consapevoli del valore strategico delle differenze risulta oggi fondamentale; il raggiungimento di uno stato di equità e di pari opportunità, indipendentemente dalla presenza di differenze, è l’obiettivo a cui tendere in quanto la differenza è una risorsa, da cui l’organizzazione può trarre benefici e vantaggi. Garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro passa anche attraverso la predisposizione di ambienti, prodotti e tecnologie accessibili a tutti.
AiFOS, ormai da parecchi anni, sta approfondendo la tematica delle disabilità e delle neurodivergenze nel mondo del lavoro, sia dal punto di vista organizzativo che da quello della formazione in materia di salute e sicurezza, proponendo approcci formativi non convenzionali che si scardinino dalle imposizioni burocratiche della normativa e che possano essere realmente fruibili da parte dei lavoratori che presentano disabilità.

Nel 2019, l’associazione ha pubblicato un numero della propria rivista scientifica, i Quaderni della Sicurezza AiFOS, dedicato alla tematica delle diversità all’interno delle organizzazioni, dal titolo: “Diversity Management: la gestione della diversità in azienda”.

Sulle tematiche della gestione della disabilità e della neurodiversità in azienda, AiFOS, con il patrocinio dell’ASviS, pubblicherà a settembre il n. 3/2024 della rivista associativa i Quaderni della Sicurezza, a cui seguirà, in occasione della Fiera Ambiente Lavoro di Bologna, un convegno gratuito sulla tematica, che si terrà l’11 ottobre 2023, dalle 14.30 alle 17.00.

AiFOS, aderente all’ASviS dal 2018, vuole, attraverso queste attività di studio e ricerca ed altre che verranno, stimolare la riflessione sulla necessità di affrontare le tematiche delle differenze in senso sostenibile, per cercare di dare loro luce per quello che sono, ossia una ricchezza da tutelare, al fine di far crescere delle organizzazioni che diano veramente voce anche a tutti quei lavoratori che, fino a ieri, erano considerati come diversi.

Per seguire AiFOS:  

Sito web
Facebook
Instagram
Twitter

Per seguire ASviS:

Sito web
Facebook
Instagram
Twitter

Biglietti